Partendo dal presupposto che per me, la definizione non è altro che un vizio di forma, ormai di film horror ne vedo pochi o per nulla quasi. Il motivo è abbastanza semplice. Quando ieri so’ andato al cinema a vedermi Ghost Stories, mi accomodo in sala. O meglio, mi sbrago volgarmente come al solito e, nell’attesa del film, guardo più o meno svogliatamente i trailer. Tra i vari, ce n’è stato però uno che m’ha colpito particolarmente: Obbligo o verità. Film horror uscito proprio ieri, tra l’altro.
Naturalmente, so benissimo che giudicare qualcosa a scatola chiusa, è appannaggio dei superficialissimi, certo. Tuttavia, com’è vero questo, è vero anche che non mi devo tuffare per sapere che l’acqua è bagnata, no? Ciò che intendo dire è, ma sul serio siamo arrivati a tanto? Prendere obbligo o verità e cercare di farci un film horror? Secondo me, qualcuno deve aver perso una scommessa. Ché questa è ‘na cosa che può esser venuta in mente solo a un bambino di otto anni o giù di lì.
Ecco, a grandi linee, questo è il motivo per cui non guardo più film horror: ché non mi va di stare lì, a sciropparmi storie scritte da qualcuno che sembra meno affidabile di un cane in una salumeria. Perché allora so’ andato a vedermi Ghost Stories?
Il professor Phillip Goodman (co-regista/co-sceneggiatore del film Andy Nyman) a causa del padre e delle sue profonde convinzioni religiose che distrussero la famiglia, è un uomo piuttosto cinico. Da adulto, s’è specializzato nello smascheramento di sensitivi fraudolenti e di tutto ciò che ruota sulla sfera del paranormale. Che ritiene cose buone solo per dar a campare i truffatori. Tra l’altro, conduce un programma televisivo, proprio in cui smaschera ‘ste truffe in diretta.
C’è da dire comunque, che Goodman non si limita solo a sbugiardare i ciarlatani. Semmai, sembra provare una certa gioia nel farlo. Nel dimostrare coi fatti, che il paranormale e tutto ciò che d’annesso e connesso c’è, non esiste. A ogni modo, dopo l’ultimo episodio del suo show, Goodman riceve un pacco da Charles Cameron. Cameron è l’idolo di Goodman, nonché l’uomo che ha preso a modello. Un investigatore del paranormale degli anni ’70, guru della televisione decostruzionista che ha dedicato la vita a smentire i fenomeni soprannaturali.
Ironia della sorta, Cameron a un certo punto scomparve nel nulla senza lasciare traccia, divenendo a sua volta un mistero. In realtà, dal pacco inviato si scopre che non è morto come si sospettava. Bensì, è un vecchio decrepito che vive in uno squallido campo roulotte.
L’unica cosa che lo tiene in vita, è un tarlo. Un chiodo fisso che lo tormenta e che gli ha fatto cambiare idea sul paranormale. Si tratta di tre casi. Tre casi che non è riuscito a spiegare in alcun modo. Perciò, prima di morire, chiede a Goodman d’investigare su questo trio di eventi soprannaturali inspiegabili, e dargli una risposta definitiva.
Quindi, il resto di Ghost Stories segue Goodman nel tentativo di trovare una spiegazione alla storia di guardiano notturno in un manicomio abbandonato. A quella di un ragazzo, coinvolto in un incidente automobilistico in mezzo al nulla, e a quella di un padre che si trova a fare i conti con un poltergeist.
Una volta, tanto tempo fa, c’erano film le cui storie non venivano scritte su un post-it. Oppure dove i protagonisti, non scendevano sempre più in basso sui dolci pendii della stupidità. Anzi. C’erano case di produzione storiche come la Hammer ma sopratutto la Amicus, che diedero vita a un certo sottogenere: gli Horror Anthologies. Molto in brevis, si tratta di una serie di segmenti narrativi diversi e funzionalmente autonomi. I quali, scorrono su di una trama di fondo più ampia, che funziona da legame vincolante.
Capiamoci, c’erano film come Trilogia del Terrore. La bottega che vendeva la morte, La casa che grondava sangue. Le cinque chiavi del terrore o Creepshow, tanto per dirne giusto alcuni. Ghost Stories di Andy Nyman e Jeremy Dyson, s’ispira e omaggia tutto questo. Pescando a piene mani ovunque, da Robert Wise a Stephen King. Dai film della Amicus a quelli con Peter Cushing e Vincent Price.
Oltretutto, Ghost Stories fa anche un’altra cosa. Piuttosto semplice in realtà, che tuttavia, pare essersi persa per strada: ovvero, raccontare una storia. Solida. Che c’ha un inizio, un mezzo e una fine. ‘Na cosa che ormai pare un’utopia, insomma. Nel fare ciò, Nyman e Dyson riescono a trovare il giusto equilibrio tra l’omaggio e la citazione, e tra il sottile senso dello humor tipicamente inglese e la paura vera e propria.
Mi spiego meglio. È bello vedere che ci sia ancora qualcuno, in grado di capire che una storia di fantasmi, di orrore, di paura o in qualunque altro modo la si voglia chiamare, per essere efficace, non necessita di jumpscare ogni tre per due. Di quelli imbarazzanti, che ti danno appuntamento per telefono tre quarti d’ora prima tanto so’ scontati. È bello vedere che ci sia ancora qualcuno in grado di trasmettere angoscia, suspense, lavorando su elementi semplici. Facilmente riconoscibili. Ispirandosi a grandi classici come Gli invasati o Il giardino delle streghe, anziché le robe di oggi prodotte dalla Blumhouse (vedi appunto il suddetto Obbligo o verità).
Certo, c’è da dire però, che quando ciascuno dei casi affrontati giunge al termine, la cosa può essere, come dire… un po’ deludente. In effetti, rimani piuttosto stranito dal come terminano. Alla fine però, ti rendi conto del perché, e sopratutto che ‘sti due, Jeremy Dyson e Andy Nyman, hanno sul serio una visione d’insieme decisamente chiara e solida. In altre parole, sono riusciti a creare un’affascinante gioco d’incastri.
Per essere ancora più chiari, Ghost Stories mette in mostra tre linee narrative ben distinte. Segmenti individuali stilisticamente diversi ma intrinsecamente simili, uniti da una quarta narrazione di fondo che li unisce, rendendoli riconoscibili in modo pressoché perfetto. Attenzione, ché non uso questa parola, “perfetto”, tanto per, eh. Se lo dico, è perché c’è un motivo ben preciso. Un motivo che va a creare una quinta linee narrativa parallela alle altre, ma di cui non posso parlare, perché sarebbe uno spoiler atroce. Quindi, dovete sta’ alla mia parola.
Fondamentalmente, Ghost Stories non è l’originalità scesa in terra. Anzi. È un film derivativo che paga pegno a una lunga tradizione di opere e registi. Ma lo fa in un modo “vero”. Giusto. È onesto con lo spettatore, nel mettere in mostra una serie di elementi che oggi paiono dimenticati. Spaventando in un modo che la maggior parte degli horror attuali non cerca nemmeno di prendere in considerazione. Accecati così come sono dal “brivido a tutti i costi”. Una porta che cigola, un rumore nel buio, la temperatura che all’improvviso si abbassa… Insomma, non si batte il classico. De facto Ghost Stories è questo: un classico moderno.
Ebbene, detto questo credo che anche per oggi sia tutto.
Stay Tuned ma sopratutto Stay Retro.
Ghost Stories
Titolo originale: Ghost Stories
Regia: Andy Nyman
Jeremy Dyson
Produzione: Claire Jones
Robin Gutch
Sceneggiatura: Andy Nyman
Jeremy Dyson
Starring: Andy Nyman
Paul Whitehouse
Alex Lawther
Martin Freeman
Casa di produzione: Altitude Film Entertainment
Warp Films
Distribuzione: Lionsgate Films
Data di uscita: 5 Ottobre 2017 (London Film Festival)
6 Aprile 2018





finalmente direi, sono stufo di questi horror anonimi che non sanno di nula
Non dirlo a me.
Ciao retronauta! Sono un grande appassionato di letteratura horror, ho cominciato a 13 anni con stoker, machen, Blackwood, le fanu e il grande Lovecraft e poi ho proseguito con king; tuttavia i film horror non sono riusciti mai ad acchiappare la mia attenzione. Sarà che ho gusti un po’ troppo classici, però sinceramente non sopporto il mescolare terrore soprannaturale e thriller, operazione che ormai viene fatta continuamente, basta cercare romanzi horror contemporanei per capire che in realtà non ce ne sono. Sarebbe bello leggere una storia di fantasmi in chiave moderna, ma penso sia davvero impossibile di questi tempi… Non ho ancora visto il film, però riconosco onore a chi ha tentato di tornare alle radici vere delle storie del terrore e dell inspiegabile.